sabato 17 aprile 2010

DOPO IL DRAMMA LA COMMEDIA

Continuo i miei ricordi con un'altra poesia piuttosto spiritosa.

La partenza del Crociatodi Giovanni Visconti-Venosta

Una storia divertente che ha raccontato nelle sue memorie Giovanni Visconti Venosta, giornalista e scrittore vissuto nella seconda metà dell’Ottocento.
Racconta, dunque, il Visconti Venosta che quando era studente di Liceo si presentò a casa sua una donna del popolo per chiedergli un favore. A suo figlio, che frequentava il ginnasio, era stato assegnato un compito in versi dal titolo: “La partenza del crociato” (E’ bene sapere che nel passato a scuola si studiava anche la composizione delle poesie con relative esercitazioni). Il povero ragazzo, che a quanto pare non era vocato per la poesia, aveva saputo scrivere solo due versi e poi si era bloccato. I suoi versi erano questi: “Passa un giorno, passa l’altro / mai non torna il prode Anselmo.” Da notare che il tema riguardava la partenza del crociato, invece quel giovane inizia già con il mancato ritorno.
Dice il Visconti Venosta che nel leggere quei due versi gli venne una tentazione cattiva e quindi ne aggiunse altri scherzosi. Scrisse che il prode Anselmo era partito per “conquidere l’avel” (per conquistare il Santo Sepolcro). Aveva con sé tutto quello che poteva essergli utile, la sua bella gli aveva dato perfino le “pezze per i pié” (quelle che oggi sarebbero le calze). E Anselmo con l’elmo in testa partì a cavallo (osserva l’autore che non c’erano i treni a vapore sulle linee ferrate, perché allora non si ferravano le strade, ma i viaggiatori!). Aveva, infatti, la cravatta in ferro battuto e il gilé in ottone. Egli viaggiava seduto, ma il cavallo andava a piedi. Dopo un lungo viaggio arrivò in Palestina e il Sultano, vistosi perduto, si preparò a fuggire dopo avere messo tutto nelle casse: “Pipe, sciabole, tappeti, mezze lune, jatagan, odalische, minareti,” A quel punto ad Anselmo accadde una disgrazia. Poiché aveva bisogno di bere riempì l’elmo d’acqua, ma non si accorse che nell’elmo c’era un forellino. Quindi l’acqua finì tutta a terra e il prode Anselmo morì di sete. Ecco perché passa un giorno passa l’altro mai non torna il prode Anselmo.
Questa poesia va bene per fare ridere i lettori, ma non per essere presentata a scuola, come fece quell’ignaro ragazzo. La lessero tutti i professori fra grandi risate, se la passarono di mano in mano e la fecero arrivare perfino all’Università insieme al nome dell’autore, che apparteneva ad una famiglia molto nota.
Alcuni anni dopo il Visconti Venosta, studente universitario, si presentò per sostenere un esame e il professore, quando sentì il suo nome, gli recitò quei versi famosi: “Passa un giorno, passa l’altro, mai non torna il prode Anselmo…
Io non so come sia andato al Visconti Venosta quell’esame, ma suppongo che lo abbia superato brillantemente, dal momento che i professori lo avevano apprezzato prima ancora di conoscerlo.
La sua poesia fino ad alcuni decenni addietro si trovava ancora nei libri di scuola e addirittura veniva stampata nelle copertine dei quaderni.

Passa un giorno, passa l`altro
Mai non torna il prode Anselmo,
Perché egli era molto scaltro
Andò in guerra e mise l`elmo…
Mise l`elmo sulla testa
Per non farsi troppo mal
E partì la lancia in resta
A cavallo d`un caval.
La sua bella che abbracciollo
Gli dié un bacio e disse: Va`!
E poneagli ad armacollo
La fiaschetta del mistrà.
Poi, donatogli un anello
Sacro pegno di sua fe`,
Gli metteva nel fardello
Fin le pezze per i piè.
Fu alle nove di mattina
Che l`Anselmo uscìa bel, bel,
Per andare in Palestina
A conquidere l`Avel.
Né per vie ferrate andava
Come in oggi col vapor,
A quei tempi si ferrava
Non la via ma il viaggiator.
La cravatta in fer battuto
E in ottone avea il gilé,
Ei viaggiava, è ver, seduto
Ma il cavallo andava a piè.
Da quel dì non fe` che andare,
Andar sempre, andare andar…
Quando a piè d`un casolare
Vide un lago, ed era il mar!
Sospettollo… e impensierito
Saviamente si fermò
Poi chinossi, e con un dito
A buon conto l`assaggiò.
Come fu sul bastimento,
Ben gli venne il mal di mar
Ma l`Anselmo in un momento
Mise fuori il desinar.
Pipe, sciabole, tappeti,
Mezze lune, jatagan,
Odalische, minareti,
Già imballati avea il Sultan.
Quando presso ai Salamini
Sete ria incominciò,
E l`Anselmo coi più fini
Prese l`elmo, e a bere andò.
Ma nell`elmo, il crederete?
C`era in fondo un forellin
E in tre dì morì di sete
Senza accorgersi il tapin.
Passa un giorno, passa l`altro,
Mai non torna il guerrier
Perch`egli era molto scaltro
Andò in guerra col cimier.
Col cimiero sulla testa,
Ma sul fondo non guardò
E così gli avvenne questa
Che mai più non ritornò.

sabato 10 aprile 2010

IL RIPOSO DEL GUERRIERO

E' sabato, non mi va di lavorare, gironzolo sul web e rifletto sulla potenza di questo strumento, ci si trova di tutto.
Ad un tratto penso ad una lunga poesia che una colta vicina di casa, la Signora Licia Perone, mi ha recitato un paio di volte da ragazzino undicenne e che mi era piaciuta tanto che ne avevo messo in memoria una buona parte ed ogni volta che la recitavo mi faceva venire la pelle d'oca.
Ma quello che non avevo mai messo in memoria era l'autore. Avrei voluto cercala ma non sapevo da dove cominciare, oggi ho riflettuto che potevo cominciare proprio da questo stupendo mezzo e al primo colpo eccola in tutta la sua interezza e l'autore non era nemmeno tanto sconosciuto, Giovanni Pascoli!.
L'ho riletta e ancora una volta la stessa identica emozione di allora. Sarò rinco ma ve la voglio proporre.

Breus

I
Viveva con sua madre in Cornovaglia:
un dì trasecolò nella boscaglia.
Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro
vide passare un uomo tutto ferro.
Morvàn pensò che fosse San Michele:
s'inginocchiò: "Signore San Michele,
non mi far male, per l'amor di Dio!".
"Né mal fo io, né San Michel son io.
No: San Michele non poss'io chiamarmi:
cavalier, si: son cavaliere d'armi".
"Un Cavaliere? Ma che cosa è mai
guardami o figlio e che cos'è saprai"
"Che è codesto lungo legno greve?"
"La lancia: ha sete, e dove giunge, beve".
"Che è codesta di cui tu sei cinto?".
"Spada, se hai vinto; croce se sei vinto".
"Di che vesti? La veste è pesa e dura".
"E' ferro. Figlio, questa è l'armatura".
"E tu nascesti già così coperto?".
Rise e rispose il cavalier:; "No, certo".
"E chi la pose, dunque, indosso a te?".
"Chi può". "Chi può?". "Ma, caro figlio, il re!".

II
Il fanciullo tornò dalla sua mamma,
e le saltò sulle ginocchia: "Mamma,
mammina (cinguettò), tu non lo sai!
ho visto quello che non vidi mai!
un uomo bello più del San Michele
ch'è in chiesa, tra il chiaror delle candele!".
"Non c'è uomo più bello , figlio mio,
più bello, no, d'un angelo di Dio".
"Ma sì, ce n'è, mammina, se permetti,
ce n'è mammina, cavalier son detti.
E io, mammina, voglio andar con loro,
e aver veste di ferro e sproni d'oro".
La madre a terra cadde come morta,
che già Morvan usciva dalla porta;
Morvan usciva e le volgea le spalle,
ed entrò difilato nelle stalle;
nelle stalle trovò sol un ronzino:
lo sciolse, vi montò sopra: in cammino.
Egli partì, ne salutò persona
eccolo fuori, ecco che batte e sprona:
eccolo già lontano dal castello,
dietro quell'uomo, ch'era così bello.

III
Dopo dieci anni, dieci tutti interi,
Breus, il cavalier de cavalieri,
sostò pensoso avanti a quel castello.
Era fradicio e rotto il ponticello.
Entrò pensoso nella corte antica:
c'era tant'erba, c'era tanta ortica.
Il rovo vi crescea come una siepe,
e la muraglia piena era di crepe.
L'edera aveva la muraglia invasa:
l'erba copria la soglia della casa.
E l'uscio era imporrito e tristo a mo'
di tomba. Egli picchiò, picchiò, picchiò..
Ecco alfine una donna, ecco una donna
antica e cieca, che gli aprì. "Voi, nonna,
mi potete albergar per questa notte?".
"Albergar vi si può per questa notte,
albergar vi si può di tutto cuore,
ma l'albergo non è forse il migliore.
Ché questa casa è tutta in abbandono
da che il figlio partì, dieci anni or sono".
Era discesa una donzella in tanto,
che appena lo guardò, ruppe in pianto.

IV
"Perché piangete, buona damigella?
perché piangete, cara damigella?".
"Io voglio dirvi, sire cavaliere,
io voglio dirvi, che mi fa dolere.
E' un mio fratello che dieci anni fa
(ora sarebbe della vostra età),
ci abbandonò per farsi cavaliere.
Io piango appena vedo un cavaliere.
Se vedo un cavalier presso il castello,
piango pensando al mio dolce fratello".
"Non avete la madre, o damigella?
non un altro fratello? una sorella?".
"Nessuno... almeno ch'io li veda in viso:
son, fratelli e sorelle, in paradiso.
La mia madre morì dal dispiacere
quand'e' partì per farsi cavaliere.
Ecco il suo letto presso il limitare,
ecco il suo seggio presso il focolare.
La sua crocetta porto sopra me.
pel mio povero cuore altro non c'è".

V
Mise un singhiozzo il cavalier d'un tratto.
Ella il pallido alzò viso disfatto.
La damigella alzò con meraviglia
gli occhi che aveano il pianto sulle ciglia.
"Iddio la mamma ancora a voi l'ha presa
c'ora piangete, che m'avete intesa?".
"Ancora a me la mamma prese Iddio;
ma chi gli disse: Prendila! fui io".
"Voi? Ma chi siete? Qual'è il vostro nome?".
"Morvan il nome, Breus il soprannome.
O sorellina, io son pien di gloria:
ogni giorno ho contata una vittoria:
ma se potevo indovinar quel giorno,
che non l'avrei veduta al mio ritorno,
o sorellina, non sarei partito!
o sorellina, non sarei fuggito!
Oh! per vederla qui sul limitare,
per rivederla presso il focolare,
per abbracciare qui con te pur lei
le mie vittorie tutte le darei:
sarei felice, pur ch'a lei vicino,
di strigliar tuttavia quel mio ronzino!".

(Giovanni Pascoli)

mercoledì 7 aprile 2010

CURIOSO NO?

SNEOCDO UNO SDTIUO IGLNESE NON IRMPTOA CMOE SNOO SCTRITE LE PRALOE, TTUTE LE LETETRE POSNOSO ESESRE AL PSTOO SBGALAITO...

L'IMPTORTANE E' SLOO CHE LA PRMIA E L'UMLTIA LETRTEA SAINO AL PTOSO GTSIUO... IL RTESO NON CTONA, IL CERLVELO E' COMQUNUE SREMPE IN GDRADO DI DECRAIFRE IL PZUZLE PCHERE NON LGEGE ONGI SILNGOA LTETREA MA LA PALROA NEL SUO INSMIEE... VSTIOO ???

NON MI DITE CHE NON SIETE RIUSCITI A LEGGERLO.
RILASSATEVI E LEGGETE DI NUOVO VEDRETE CHE E' FACILISSIMO.

martedì 6 aprile 2010

AGGREDITO DON FRANCO?

Ho sentito che questo pomeriggio qualcuno ha aggredito Don Franco in canonica al punto che hanno dovuto portarlo in ospedale con l'ambulanza.
Se fosse il primo aprile sarei portato a non crederci ma non è il primo aprile.
Voglio esprimere la mia solidarietà a Don Franco sperando che non sia stato nulla di grave.
Se qualcuno ne sa di più gradirei notizie.